Aprire un ristorante italiano in Thailandia – Intervista a Sebastiano Berardi

ristorazione italiana

Concedendosi un po’ di sommarietà potremmo scrivere: esistono due tipi di ristoranti italiani all’estero; quelli dove si mangia e basta e quelli che fungono anche da centri di aggregazione per la comunità italiana – e non solo – in loco.
Il ristorante La Fontana, di Sebastiano Berardi (a Chiang Mai, nella Thailandia del nord), è sicuramente del secondo tipo.
L’ultima volta che sono passato a trovare Seba (amici e clienti abituali lo chiamano così), appena ieri, ho ottenuto l’ennesimo ventaglio di informazioni…e siamo in bassa stagione. Seba si stava difatti intrattenendo con Marco, un italiano che ha un piccolo resort a Nan, una provincia un po’ remota della Thailandia settentrionale, poco distante dal confine laotiano. Il posto di Marco sembra davvero interessante, ho promesso una visita cui seguirà, nei migliori auspici, un articolo per CA. Parlando in libertà (a discapito della frittura di calamari e della pizza che avevo ordinato e che, tra una chiacchiera e l’altra, non ho gustato a dovere; come insegnavano saggiamente gli esseni bisognerebbe mangiare in silenzio), sono emersi altri dati interessanti. Ad esempio che è stata recentemente creata una rivista, in italiano, sulla Thailandia, consultabile anche in formato elettronico: inthailandia.org. Ne ho letto diversi articoli e credo si possa definire di un buon livello. Consultatela e ci troverete anche un articolo di Marco: Nan, la provincia nascosta. Sono anche venuto a conoscenza, chiacchiera-chiacchiera (sempre a discapito del pasto…) di una realtà in cui si pratica permacultura, ad appena 40 chilometri da Chiang Mai e di cui spero di dare presto aggiornamenti.
In una parola: grande Seba, anche in bassa stagione. Più che un ristorante, il suo, è un network in continuo aggiornamento. Probabilmente il miglior punto di riferimento per la comunità italiana, svizzero-italiana e altro a Chiang Mai.
Di seguito un’intervista sulla sua esperienza di ristoratore in un’Asia take it easy.
Buona lettura!

CA: Puoi presentarti brevemente ai lettori di Corriere Asia? Due parole su di te, sul tuo background e il tuo lavoro attuale.
SB: Mi chiamo Sebastiano Berardi, sono lombardo e ho quasi 50 anni. Ho frequentato l’Istituto Turistico a Milano e sono partito per gli Stati Uniti nel 1994 dove, la mattina, studiavo l’inglese e, la sera, lavoravo in un ristorante italiano. Sono poi tornato in Italia, lavorando in diversi alberghi. Non ero molto soddisfatto dunque ho accettato l’offerta di un lavoro di supervisione, in un progetto di depurazione delle acque, a Singapore. Era soprattutto un pretesto per avere un primo approccio con l’Asia, continente che mi affascinava da sempre. Facendo base a Singapore, per circa un anno e mezzo ho visitato la Malesia, la Thailandia e l’Indonesia. Sono venuto a Chiang Mai su consiglio di amici e, appena arrivato, mi sono innamorato di questa città e ho deciso di sistemarmi qui con una mia attività. Ho fondato un’agenzia di viaggio; accompagnavo i turisti sulle montagne vicine. Tutti, rigorosamente, in bicicletta. Ho gestito quest’agenzia per qualche anno. Nel frattempo ho conosciuto mia moglie ed è nata mia figlia. A quel punto ci siamo trasferiti in Italia, rimanendo circa 3 anni. Era tuttavia pressante il desiderio di ritornare in Thailandia. Siamo dunque ritornati per rimanere in pianta stabile, soprattutto grazie a un’offerta di lavoro di un mio amico che aveva un ristorante italiano. Lui avviò un nuovo ristorante ed io ho iniziato a gestire il suo. Dopo circa 5 anni ho deciso di mettermi completamente in proprio, assieme a mia moglie e abbiamo aperto La Fontana.

CA: Quali difficoltà hai trovato a lavorare ed inserirti in Thailandia?
SB: Inizialmente non ho avuto grandi difficoltà, appoggiandomi al mio amico. Tuttavia ho avuto, molto presto, difficoltà con il personale. In altre parole: ho avuto problemi di “scontro culturale”, a partire dalle incomprensioni linguistiche [i thailandesi hanno generalmente difficoltà a comunicare in inglese]. Sono anche rimasto particolarmente deluso dall’inefficienza dei lavoratori thai. Meno, in principio, dal personale birmano [in Thailandia lavorano circa un milione di birmani, in fuga da un paese che ha avuto un dei più brutali regimi dittatoriali del mondo]. I birmani li ho trovati, generalmente, più efficienti, più responsabili, del resto sono qui in Thailandia per lavorare e mandare i soldi a casa. Oggi, tuttavia, la situazione sta cambiando anche con loro. Molti iniziano ad avere il passaporto e maggiori possibilità di inserimento e dunque stanno diventando un po’ come i thai. Va anche detto che gli stessi birmani sono molto diversi tra loro. Quelli che vengono dallo stato Shan sono più forza lavoro generica, poco istruita e specializzata. Quelli dello stato Chin, ai confini con il Bangladesh, sono invece più acculturati ma meno gestibili da un datore di lavoro; vogliono fare tutto di testa propria! Dopo tanti anni posso dire di essere abbastanza deluso dalla poca serietà dei lavoratori locali (thailandesi ma, oramai, anche birmani) e dalla loro scarsa “etica del lavoro”.
Ho notato che, in generale, il lavoro per i thailandesi non è particolarmente importante, prima viene il divertimento, un modo di vivere sabai sabai (take it easy), per usare un termine locale. Un’altra cosa importante è che fare business in Thailandia, senza una moglie o un affidabile socio thai è un azzardo, è molto difficile, se non impossibile. In generale i thailandesi vogliono essere comandati da un thailandese che sa comandare, non da un farang [termine con cui vengono generalmente qualificati gli stranieri occidentali, in Thailandia] quindi è essenziale, per un imprenditore, avere quantomeno un buon manager locale.

CA: Quali a creare una tua attività?
SB: Avendo una moglie thai le cose sono state abbastanza semplici, sia per gli aspetti burocratici e fiscali che per l’ottenimento dei permessi di lavoro, delle varie licenze, eccetera.
Gli svantaggi più importanti si hanno, ad esempio, sul fronte dei visti e dei permessi di lavoro. Io ho il visto annuale, per famiglia (moglie e figli) e per lavoro. Viene rinnovato ogni anno all’Ufficio Immigrazione. Ogni anno debbo dimostrare una disponibilità economica di 400000 bath (poco piu’ di 10000 euro). Questo perché sono sposato, altrimenti dovrei dimostrare di poter disporre di 800000 bath annuali. La grande scocciatura è che ogni 3 mesi debbo andare all’immigrazione per compilare un modulo per la notifica di residenza. Non è sempre facile ricordarsi di questa scadenza. Dopo un certo periodo ci si inizia a sentire a casa e ci si può dimenticare di essere, in realtà, ospiti in questo paese, dimenticando anche le scadenze. In quel caso sono multe che possono anche essere salate. In generale, quella che è una lamentela piuttosto diffusa tra i farang che lavorano in Thailandia, è la sostanziale assenza di chiari diritti, la sensazione di essere e rimanere per sempre degli alieni. Diversamente da altri paesi, la Thailandia non ha una grande tendenza all’assimilazione e, lo straniero, anche se sposato con una thai e con figli, per metà, thailandesi, viene sempre visto come “un corpo estraneo” e sempre qualificato, fastidiosamente, come farang.

CA: Quali sono invece i vantaggi di avere una propria attività in Thailandia?
SB: In generale, come si accennava, non è facilissimo vivere e lavorare in Thailandia o, almeno, meno di quanto si possa pensare e idealizzare. Sicuramente, però, ci sono dei vantaggi, altrimenti non ci sarebbe il numero notoriamente alto di stranieri che decidono di stabilirsi qui. Avendo un po’ di creatività si può avviare un’attività che dia soddisfazione a livello economico. I vantaggi sono, soprattutto, di tipo fiscale. Questo, naturalmente, presenta anche il risvolto che il welfare thailandese fa, sostanzialmente, ridere. Dunque bisogna mettere in preventivo una spesa tutto sommato ragionevole per un’assicurazione privata, sul fronte della malattia e pensare per tempo alla “previdenza sociale”.

CA: L’inflazione di ristoranti italiani di cui sta soffrendo Chiang Mai, sta creando problemi alla tua attività?
SB: Sì, crea abbastanza problemi. Il numero dei ristoranti è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni, dunque è aumentata la concorrenza. Questo naturalmente rappresenta anche uno stimolo a migliorarsi. Bisogna poi dire che la città si sta ingrandendo e decentrando, dunque per noi che siamo in centro la situazione non sta cambiando in maniera intollerabile. I nuovi ristoranti sono spesso fuori città e lavorano soprattutto con i residenti mentre noi, in centro, lavoriamo soprattutto con i turisti. siamo, di conseguenza, un po’ soggetti alle alte e basse stagioni ma, tutto sommato, non possiamo lamentarci.

CA: Torneresti mai indietro, a vivere/lavorare in Italia o in Europa?
SB: Ci sto pensando… Sto pensando di tornare per un periodo circoscritto, ogni anno. Tornare in Italia o Svizzera, per lavorare. Io sono una di quelle persone che, dopo tanti anni, inizia ad essere stanca di stare full time in Asia. Sono in un momento in cui sento la necessità di confrontarmi quotidianamente con la mia cultura. Il confronto con “l’altro” (asiatico nel mio caso) per un periodo è stato molto stimolante. Negli ultimi tempi, però, anche a seguito di una “rimpatriata” inizio a sognarmi “la piazza” in Italia, con il bar dove bere il caffé, le quattro chiacchiere con i compaesani. Cose semplici ma importanti.

CA: Ai tanti giovani che oggi soffrono per penuria di lavoro in Italia e in Europa, consiglieresti di trasferirsi a vivere e a lavorare qui?
SB: Senz’altro sì anche se penso che la Thailandia non sia in un gran momento, al contrario, ad esempio, della Cina (dove tuttavia le condizioni di lavoro e inserimento sono probabilmente più ostiche). In ogni caso, mi sento di sensibilizzare le persone: prima di lanciarvi, informatevi bene. Rispetto ad alcuni anni fa le difficoltà sono molto aumentate, i costi sono molto saliti. Non è più semplice, come una volta, arrivare in Thailandia e, con pochi soldi, aprire una piccola attività. Non va poi dimenticato, giova ripeterlo, che uno straniero che decida di imprendere, da solo, in Thailandia, va incontro a rischi disparati. Non a caso la maggiorparte di noi che abbiamo una nostra attività in Thailandia, siamo sposati con una donna thai.
Manuel Olivares: Mi sento di aggiungere che lavorare sotto padrone, in Thailandia, sia anche meno consigliabile. Uno dei paradossi del paese, difatti, sta nell’avere un indotto di consumo da primo mondo e stipendi, in buona parte dei casi, quasi da terzo, con conseguenze che meriterebbero diversi articoli a parte.

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