Benares e la presenza, mai ritratta, di Shiva

Vivendo a Benares (o Varanasi) molto tempo ho finalmente deciso di approfondire la storia e lo spirito di questa città cui ho fatto cenno diverse volte nei miei libri. L’ho, ad esempio, definita “città santa e malsana”, nel mio Un giardino dell’Eden, “dove gli hindu sperano di morire per l’ultima volta”.
Oltre ad alcune letture ho deciso di intervistare Mark Dyczkowski, residente a Benares da circa 40 anni e considerato un’autorità mondiale in materia diTantra e shivaismo kashmiro. Mark è autore di diversi libri e di molti articoli ma più che presentarlo sinteticamente in questa sede, preferisco rimandare al suo sito internet, sicuramente molto più eloquente al suo riguardo.
Di seguito la prima sezione di una lunga intervista che gli ho fatto, nella sua casa di Narada Ghat, con bella vista sulle celeberrime albe di Benares.

Benares è la città vivente più antica del mondo. Da un punto di vista storico e storiografico è difficile stabilirne un’origine precisa, in un tempo preciso. Da un punto di vista mitico si sostiene sia stata fondata da Shiva. Tu sei un grande esperto di shivaismo dunque potremmo iniziare a considerare questa figura. Chi era Shiva? Un uomo successivamente divinizzato?
Intanto io consiglio di leggere due libri: The presence of Shiva, di Stella Kramrisch, l’altro è Shiva the erotic ascetic.

Cosa pensi del celebre Shiva e Dioniso di Alain Daniélou?

E’ tutta fantasia. Come puoi scrivere un libro sostenendo che la religione di Shiva e di Dioniso era, 30000 anni fa, la religione di base degli indoeuropei? Dove sono i dati, le prove? Su cosa puoi basare un’affermazione del genere? Anche perchè gli archeologi, gli archeo-femministi, come Maria Gimbutas, che parlano della vecchia Europa, si sono fissati con simboli femminili e quando vedono i falli perché ce ne sono parecchi, lei li chiama “colonne”.

Alain Daniélou non ci sta parlando del 3000 a.C., quando esistevano già forme di scritture. Lui era molto, molto omosessuale ed aveva prospettive omosessuali, aveva un’idea della creazione da parte di un Dio omosessuale. Ha vissuto a Benares molto tempo, ci ha preceduti tutti, è andato via all’inizio degli anni ’60. Ha scritto libri molto belli, importanti, sulla musica indiana. Ha fatto molte registrazioni di musica indiana e dunque possiamo dire che ha fatto cose importanti poi, più avanti, si è fissato su alcune idee per cui per il mondo accademico è un po’ “impazzito”.

In Italia è pubblicato dalla Ubaldini che è una casa editrice notoriamente seria…
Lui era una figura importante, come studioso dunque l’autorità che ha avuto dai suoi primi lavori gli ha permesso di pubblicare anche cose così. Questa è la mia opinione ma se chiedi a Bettina Bäumer [ugualmente residente a Benares da diversi decenni ed autrice di diversi testi di indologia] è probabilmente anche la sua, è un’opinione generale.

Va bene, torniamo a Shiva

Ci sono due divinità molto importanti, anche conosciute nei Veda ed i cui culti si sviluppano nel periodo più tardo del RigVeda e che dunque hanno avuto valenza anche nei Brahmana eccetera. Parliamo di Rudra e Vishnu, entrambe le figure danno l’impressione di essere state introdotte o accettate nell’ambito vedico. Possiamo dunque leggerle come figure eterodosse. Detto questo, sono figure molto importanti anche nel contesto della religione vedica ma direi che la loro importanza la si sente molto di più nel momento in cui sono diventate le due più importanti divinità maschili della religione induista post-vedica. Se questa evoluzione non fosse avvenuta ci si focalizzerebbe di meno sull’importanza di queste divinità nell’ambito vedico. Nel caso di Vishnu vediamo che c’è un mito molto importante secondo cui lui vuole la testa del sacrificio, la parte migliore e per ottenerla fa tre passi importanti con cui copre i tre mondi: la terra, gli spazi intermedi ed i cieli ed arriva al “pozzo di miele”. Questo tema mitologico viene ripreso anche nell’Induismo classico, nel Vamana Avatara, l’incarnazione di Vishnu come nano. Viene rappresentato in questo modo anche nella prima iconografia. Da questo mito si può capire che era una divinità che si stava introducendo, stava acquisendo grande popolarità ed aveva grandi ambizioni di crescita. Il nome Shiva non appare nel RigVeda, appare piuttosto quello di Rudra. Esiste l’inno ai cento Rudra, in cui vengono dati alla divinità 100 nomi tra cui quello di Shiva. Nel RigVeda, Rudra è una divinità delle foreste. I vedici avevano una particolare dicotomia: vedevano il mondo, la cultura, le divinità del villaggio e poi c’era il mondo delle divinità e delle realtà della foresta che era selvaggia, piena di incertezze e c’era costantemente il tentativo di mediare, di accomodare, di smorzare la forza intrusiva della foresta, del selvaggio, delle forze incontrollate, indomite. Questo è molto rilevante per capire la figura di Rudra. Generalmente, nel mondo umano, c’è una parte tranquilla, sotto controllo cui si affiancano, più o meno frequentemente, irruzioni di caos: le malattie, le calamità naturali, le carestie e poi…la pazzia. Tutto questo l’uomo vedico lo sentiva come l’irruzione, nel suo villaggio, nell’area cosmizzata, di forze aliene, non domate, caotiche, della foresta. Loro difatti vivevano in tanti piccoli villaggi, sui fiumi, circondati dall’immensa foresta.
Rudra come si presenta, nel RigVeda? Non è un dio della montagna, come Shiva nella mitologia classica. E’ un cacciatore che gira nella foresta. E’ il signore delle bestie selvagge. Nel rito vedico c’è una parte di sacrificio cruento. Si fa di due tipi: quello delle bestie domestiche e quello delle bestie selvagge per acquietare le forze irrompenti degli esseri che vivono nella foresta e potrebbero disturbare il sacrificio. Rudra è dunque il signore di queste forze, si veste con una pelle di tigre, gira con l’arco e le frecce e porta con se uno sciame di esseri come lui. Simbolicamente ce ne sono dieci nelle dieci direzioni. Dunque cento ma, di fatto, ce ne sono innumerevoli dappertutto e sono come lui: furiosi, cacciatori. In un inno molto conosciuto, recitato ai linga, regolarmente, in tutta l’India, si prega Rudra (i tanti Rudra) di non scoccare le freccia nella propria direzione, che sia clemente perchè le sue frecce portano malattie, calamità, epidemie, fanno impazzire gli animali e la gente. Dunque lui non facendo del male, fa bene. Si prega un dio molto forte che può avere effetti fortemente destabilizzanti che però è anche clemente, propiziato nel giusto modo e può prevenire le calamità. E’ dunque un Rudra selvaggio, ricalcato sulle figure che vivevano ai margini della società vedica, nella foresta. Si intravede che Rudra viveva nel mondo degli esseri soprannaturali che non erano nell’ambito vedico. E’ normale, nelle religioni, che le mie divinità siano i tuoi demoni e viceversa. I vedici avevano una sorta di religione “ambulante”, non localizzata in nessun posto. Le divinità dei Veda, i cosiddetti 33 dèi, non sono divinità del luogo, come lo sono ora. Vivevano nelle costellazioni e venivano invocate nel sacrificio che era anche ambulante. Era sufficiente pulire un pezzo di terra, farci una capanna che poi veniva bruciata assieme ai tanti utensili di legno. Si offriva il sangue della bestia sacrificata, invocando Vayu. La bestia veniva soffocata e poi sgozzata. Il sangue veniva raccolto, perchè impuro e versato oltre i confini dell’area sacrificale ed offerto alle divinità della terra, i rakshas che oggigiorno vuole dire “demoni” ma la parola deriva dalla radice raksh che significa “proteggere”. I rakshas si invocano come protettori del sacrificio. Viene data loro la propria parte perchè mangiano cose impure, per i vedici e dunque invece di irrompere nel sacrificio lo proteggono. Sono formule che vediamo in tutta l’Asia, nel distendersi di tutte le forme di religioni indiane, come il buddhismo. Le divinità locali che sono demoni, per il buddhismo, diventano “protettori”. Rudra è uno massimamente propiziato, mai visto come “demone”. Nei Veda gli si danno degli epiteti che calzerebbero molto più ad un demone che ad un dio ― “furioso”, “indemoniato” ― ma perchè tutto questo fa parte della sua personalità.
Rudra tuttavia si presenta anche come giustiziere. Nei Veda uno dei modi in cui il mondo viene creato è attraverso l’incesto. C’è l’incenso tra fratello e sorella (Yama e Yami) che introduce la morte nella creazione e c’è l’incesto del padre con la figlia che introduce la sessualità come modalità riproduttiva. In questo caso il signore delle creature guarda sua figlia che è un’ipostasi del suo potere, della sua saggezza, del suo potere. Dunque la desidera ma lei non vuole quest’attenzione dal padre ed inizia a scappare. Lui la rincorre e lei assume più forme per nascondersi ed il padre assume forme conformi. Quando finalmente lui la raggiunge lei ha la forma della cavalla e lui assume la forma dello stallone (figura molto importante presso gli ariani). Rudra vede questa scena “selvaggia”, fuori delle regole. E’ molto trasgressiva e peccaminosa. Allora Rudra, di fronte a questa scena primordiale, prima della creazione, sull’orlo del divenire, nell’irrompere dell’essere nel tempo segnato dal peccato, è indignato e dunque scocca la freccia ed evira il padre. Si forma dunque un grande lago di sperma da cui sorgono le creature sessuate. Una variante importante di questo mito, in ambito puranico, si ha nel momento in cui Brahma desidera la figlia Sarasvati. Shiva in questo caso gli taglia la testa. Dunque, in questa versione, c’è la copulazione, Brahma viene evirato, si viene a creare il lago di sperma ma non c’è modo di creare da esso perchè è solo maschile. Dunque Shiva viene pregato di essere lui l’attore della creazione, generando dal lago di sperma ed allora vi si tuffa, assume la forma del linga (fallo) e dalla forza della sua contemplazione si generano le creature sessuate. Una variante molto significativa perchè dà ancora più spazio alla figura di Shiva come dio creatore che crea in modo superiore rispetto al suo antecedente. Parliamo di un dio che, di base (Rudra), era distruttivo, nefasto ma anche compassionevole e che ora assurge al ruolo di creatore, in virtù della sua forma fallica. Consideriamo ora il culto vedico dei tempi in cui gli ariani erano ancora nomadi ed il culto consisteva in un fuoco ambulante cui venivano fatte offerte come tramite con gli dèi che, presenti come si diceva, nelle costellazioni, venivano utilizzati anche come “bussola”. Per quanto sia ripugnante ai nazionalisti hindu ― a partire dal loro predecessore Vivekananda ― l’idea di un’India antichissima, dei tempi vedici, pluriculturale, non si riescono a spiegare alcuni fatti come quelli di cui Shiva e Vishnu sono esempi, di una cultura vedica che si incontra con altre e poi, andando più avanti, ha mantenuto un suo prestigio e dominio ma si è dovuta pur sempre adattare ad essere una minoranza rispetto ad un ambito molto più vasto. Lo shivaismo è un grande esempio di questo. Nei Veda i Daisu erano gli indigeni ed erano adoratori dei falli (per quanto si sappia molto bene che i falli erano adorati in tutto il mondo preistorico). Dunque da una parte noi sappiamo che Shiva diventa uno dei grandi dèi dell’induismo classico. I Purana sono pieni di miti legati a Shiva, dove è il dio di rivelazioni tantriche, inizia ad apparire anche in alcune Upanishad, a partire dal terzo secolo dopo Cristo. I Purana di cui stiamo parlando iniziano anche intorno al terzo quarto secolo dopo Cristo. Abbiamo tuttavia dei precedenti, ad esempio una citazione da Panini che è del terzo secolo a.C. in cui parla dei seguaci di Baghwan (termine che oggi si usa soprattutto in ambito vishnuita), gli Shiva Baghawata di cui Patanjali, il commentatore, diceva girassero nudi con delle lance di ferro. Da questo possiamo dunque dedurre che già a partire dal terzo secolo a.C. esistevano devoti di Shiva che si presentavano come asceti.
Entrando nei primi secoli della nostra era, abbiamo un’iscrizione del terzo secolo d.C., abbiamo un’iscrizione che ci dà un lignaggio di maestri paśupata, seguaci di Shiva Paśupati. Ci indica l’esistenza di un riformatore nell’ambito di questo movimento, cosa che ci fa pensare che loro siano pre-esistenti a questo periodo e potrebbero essere i discendenti degli Shiva Baghawata. Noi sappiamo del culto di questi paśupata ― che sono molto importanti nell’evoluzione del culto di Shiva ― dai cosiddetti Paśupata Sutra, commentati da un bramino (Konvinya) del quinto secolo d.C.
Li presenta come asceti nudi, coperti di cenere, adoratori di linga cui fanno circumambulazione in senso antiorario. Vogliono essere insultati, trattati male perchè credono, in questo modo, di acquisire merito. Sono dunque un tipo di asceti le cui pratiche saranno assi portanti di tante forme diverse di shivaismo successivo. Loro ripetono 5 mantra che vanno recitati davanti al linga come ripetizione costante. Sono ripresi dall’inno ai 100 Rudra cui accennavo precedentemente e sono dedicati a 5 forme di Rudra/Shiva. Sono dunque 5 forme o nomi di Shiva inneggiati con 5 mantra vedici dell’inno ai 100 Rudra e diventeranno, in futuro, i 5 volti di Shiva, che sono i 5 volti del linga e sarà Shiva il grande dio dei tantra shivaiti, a partire dal quinto-sesto secolo d.C.
I paśupata sono dunque stati adoratori del linga e sono stati grandi divulgatori dello shivaismo in India. Risulta che dove andavano o stabilivano dei linga o li scoprivano ed alcuni dei loro posti di ritrovo diventavano luoghi di rilievo. Un esempio ne è Elephanta, a Mumbai. Elephanta è stato un grande centro paśupata e le sue sculture in rilievo risalgono al quinto sesto secolo d.C.. Quello che è stato più convincente, in merito all’attribuzione ai paśupata delle sculture di Elephanta è che vedendo la sequenza dei rilievi, vanno in senso antiorario rispetto al linga centrale, cosa molto singolare ed insolita (in genere si segue ritualmente il percorso del sole, che è in senso orario).

Le rimanenze dei paśupata si estendono per l’India, andando sempre più a sud. Importante sottolineare che rimane Rudra il dio dei paśupata.
Oggi il Rudra Visheka, l’inno ai 100 Rudra, la liturgia primaria del linga, consiste in tutta l’India nella recitazione puramente vedica e questo è molto significativo. Non si può provare per adesso ma a me fa molto pensare che il culto del linga, molto antecedente ai Purana ed i Tantra, rappresenta un grande ponte tra i Veda e la letteratura successiva. La figura di Shiva può essere dunque letta come quella di un grande intermediario (come del resto nel caso di Vishnu) e questo sarò molto importante nell’analisi di Benares, considerato il luogo più importante legato a Shiva.
Ora, quello che ti voglio dire in conclusione dell’intervista, è una mia osservazione personale, proprio in merito a Benares. L’estensione del territorio (aryavata, il paese degli arii) in cui il sacrificio vedico si considerava la forma eccellente di culto è un processo che dai primordi continua fino al quinto secolo d.C. Parte dall’attuale Pakistan, attorno al fiume Indo e, passando per il Punjab, si muove in direzione dell’attuale Delhi. Ai tempi dei primi brahmana gli ariani stavano in un’area che si chiamava Kurukśetra, un primo proto-stato (ai tempi del Buddha ce ne erano 16 di proto-stati). Nei Brahmana, l’area ad est di Delhi (dunque anche a Benares) diventa un’area di estensione del territorio in cui il sacrificio vedico si considerava la forma eccellente. Andare a sud era proibito, era considerata la direzione della morte per quanto la marcia degli ariani verso sud inizierà a diventare massiccia intorno al quarto-quinto secolo d.C.
Varanasi ai tempi del Buddha era dunque già un posto abbastanza importante e ci sono alcune storie nelle Jataka in cui il Buddha, nelle vite precedenti, viene presentato come un figlio di mercanti. Sappiamo che Buddha fece il suo primo discorso proprio qui, nell’attuale Sarnath, a pochi chilometri dal centro di Benares. Allora quale era la religione della gente di Varanasi (il nome più antico che troviamo anche nel Canone Pali e deriva dal nome dell’affluente del Gange nell’area più a nord della città, dove se ne è sviluppata la sezione più antica) mentre Kashi viene un po’ dopo e deriva dal nome di una tribù che governava quest’area (il nome sarebbe poi stato interpretato come “la città della luce”, dalla radice kash: brillare).
Qui la religione vedica, a quel tempo, non era dominante. Esiste la teoria per cui per primi vennero qui i paśupata che nel tempo, con l’avvento del tantrismo, sono stati sostituiti da tantrici del tipo del sud dell’India.
Ha senso pensare che ci fosse un culto generale, in più forme, centrato sul linga. In ogni caso, Varanasi sin da allora era un centro particolarmente importante. Shiva è massimamente importante qui ed è lo Shiva del linga che riscuote questa importanza. Il Rudra dei Veda non ha nulla a che fare con il linga e non è un dio della montagna. Viene dunque da pensare che il culto del linga venga adattato e ripreso in un momento, abbastanza ampio nel tempo, in cui si cercavano adattamenti di forme vediche che potessero essere applicabili a realtà più popolari. Il problema con i Veda era che il culto era diventato così complesso che fare un sacrificio vedico costava molti soldi e se lo potevano permettere solo i ricchi. Lo facevano per il popolo, rinunciando ai frutti che venivano, appunto, dati al popolo e se i raccolti, a seguito del sacrificio, andavano bene tutto bene altrimenti il popolo poteva anche vendicarsi. All’inizio, come si diceva, quando gli ariani erano nomadi, il culto era relativamente semplice, domestico mentre nel tempo la religione vedica perse la sua dimensione “popolare”. Anche oggi, del resto, certi sacrifici possono essere fatti solamente da alcune ristrette élites di bramini. Si era dunque venuta a creare l’esigenza di una nuova “vulgata” del culto vedico. Nel commentario di Shankara ai Brahmasutra sta scritto che se una donna o un uomo non bramino sente il suono dei Veda deve essere condannato ad avere il piombo fuso calato nell’orecchio. Dunque figurati: avere qui a Benares la recitazione di brani vedici di fronte ad un linga, accessibile a tutte le orecchie, era una grande liberalizzazione ed era anche un modo per tenere i bramini maggiormente sotto controllo. Qui le divinità hanno iniziato a “vivere negli alberi”, con rappresentazioni alla radice degli stessi. Poi hanno iniziato ad essere creati dei templi in muratura che prima, probabilmente, erano in legno ed ospitano dei linga. Allora, non essendoci ancora i Tantra, che culto c’era? Probabilmente erano culti vedici. Quello che mi viene da pensare è che il Rudra Visheka fa parte di una liturgia molto antica, precedente ai Tantra che riflette in qualche modo il tipo di liturgia che si faceva nei templi shivaiti dei primi secoli. Del resto questa ipotesi è coerente con il fatto che i paśupata recitano sezioni proprio da quell’inno. Questa è un’inquadratura generale che può essere, poi, ulteriormente sviluppata.

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