L’Economia Cinese
L’economia cinese può considerarsi, allo stato attuale, un’economia in transizione verso un modello di mercato in linea con le economie a più avanzato sviluppo. Nonostante la dinamicità di alcuni settori, in particolare quelli manifatturieri tradizionali e a basso contenuto tecnologico, altri settori soffrono tuttora un controllo centralizzato sulla gestione e sulla allocazione delle risorse e beneficiano di sussidi statali.
Il settore finanziario necessita di importanti riforme strutturali, caldeggiate anche dagli stessi economisti cinesi.
La finanza nazionale è caratterizzata, in particolare, da ingente liquidità e dal controllo statale. Quest’ultimo si concretizza in un intervento di Pechino sui flussi monetari, sui tassi di interesse e attraverso forme di controllo quantitativo sul credito. Tali alterazioni da parte del governo sono funzionali a un controllo dell’inflazione in modo da favorire le esportazioni verso i mercati esteri. Inoltre, le grandi banche pubbliche detengono il 60% degli asset totali del settore. L’intermediazione finanziaria non segue dunque logiche di mercato, e la concessione del credito è canalizzata verso le imprese di Stato (State Owned Enterprises, SOE). Al fine di favorire la transizione verso un modello di mercato, il 12° e il 13° Piano quinquennale (rispettivamente per i periodi 2011-2015 e 2016-2020) hanno entrambi assegnato un ruolo preminente alla riforma del settore finanziario.
L’ultimo Piano recentemente approvato si concentrerà, in aggiunta, sul settore dei servizi, attualmente molto meno sviluppato rispetto al settore industriale e ancora gestito, in larga parte, in forma di monopolio statale. Infatti, nonostante le liberalizzazioni già avviate, lo Stato detiene tutt’ora partecipazioni per circa il 40% del totale del settore, e per più del 70% nei servizi afferenti a trasporto, salute pubblica, educazione, telecomunicazioni e nei servizi di gestione dei beni pubblici. Diversi operatori chiedono pertanto nuove riforme e un’accelerata sulle liberalizzazioni nel settore terziario, privilegiando logiche di mercato a quelle di controllo, al fine di eliminare le distorsioni sui meccanismi di determinazione dei prezzi.
Senza le suddette riforme, l’economia non potrà che continuare a caratterizzarsi come un’economia pianificata.
Il giudizio espresso finora dall’Unione Europea è dunque condivisibile: la Cina soddisfa solo uno dei cinque criteri fissati da Bruxelles per il riconoscimento dello status di economia di mercato, evidenziando ancora carenze per quanto riguarda i requisiti relativi al grado di influenza governativa, all’indipendenza del settore finanziario, ed alla trasparenza ed efficienza del sistema giudiziario.
Le Esportazioni cinesi
La Cina esporta principalmente componenti elettronici, macchinari, prodotti dell’industria tessile e di quella siderurgica. Più del 50% del valore delle esportazioni è diretto ai partner asiatici quali Hong Kong e Giappone, nonostante il primo partner commerciale della Cina siano gli Stati Uniti. Ad oggi, il volume dell’export ammonta a 172 miliardi di dollari, con un trend in costante crescita. Il commercio verso paesi stranieri prevede un ulteriore aumento in base alle stime entro il 2020.

Nonostante l’obiettivo di Pechino sia quello di investire su produzioni ad alto contenuto tecnologico, in previsione la Cina continuerà a esportare principalmente macchinari e attrezzature da trasporto e beni di consumo del settore manifatturiero e tessile. Il flusso in uscita di prodotti chimici crescerà maggiormente rispetto ad altri settori, rimanendo tuttavia entro valori contenuti al 2030.

Secondo le previsioni, il flusso in uscita rimarrà principalmente canalizzato verso i paesi asiatici, fra i quali economie emergenti come il Vietnam.

Import/Export Cina/UE
Le importazioni europee dalla Cina sono dominate dai beni industriali e di consumo: macchinari e attrezzature, calzature e abbigliamento, mobili, lampade, giocattoli. Le esportazioni europee verso la Cina riguardano principalmente macchinari ed attrezzature, veicoli a motore, componenti per settore aerospaziale e prodotti chimici.

Il volume delle importazioni europee dalla Cina ammonta tuttavia a quasi il doppio delle esportazioni europee verso la Cina.
Import/Export Cina/Italia
Con riferimento al commercio fra Italia e Cina, sia le importazioni che le esportazioni sono cresciute stabilmente dal 2009. A dicembre 2015, le esportazioni cinesi verso l’Italia ammontano a 28,9 miliardi di dollari. Le importazioni cinesi dall’Italia ammontano a 18,8 miliardi di dollari. L’Italia è il 15° partner commerciale della Cina (il quarto fra gli stati dell’Unione Europea). Gli investimenti italiani in Cina, che ammontano a circa 3,5 miliardi di dollari, sono cresciuti negli ultimi anni, soprattutto nei settori finanziario e assicurativo e del commercio al dettaglio. Nel 2015, SACE ha stimato in circa 2.000 la presenza di società italiane nella repubblica popolare, con un fatturato aggregato intorno ai 5 miliardi di euro.
Prodotti in ferro ed acciaio
Le importazioni italiane dalla Cina si concentrano in particolare nel settore dell’acciaio. L’Italia è l’ottavo importatore nel mondo e il primo importatore in Europa per questo settore.

L’Italia non è l’unico paese che negli ultimi anni ha incrementato le importazioni dalla Cina di prodotti in acciaio, ma il dato importante è che la quota italiana dal settore “acciaio” cinese è cresciuta dall’1,88% nel 2014 al 2,53% nel 2015. La previsione per il 2016 è del 3,14% sul totale del flusso dalla Cina.
I dati sopra riportati vanno rapportati al numero di misure anti-dumping applicate dalla Commissione Europea (o in fase di applicazione). Su un totale di 40 inchieste anti-dumping in corso, ben 28 riguardano la Cina. Sono a tutt’oggi applicate, in via definitiva o provvisoria, 14 misure anti-dumping avverso l’immissione in Europa di prodotti dell’industria siderurgica cinese. I dazi anti-dumping hanno l’effetto di attenuare l’impatto che il prezzo dei prodotti cinesi, al di sotto del costo di produzione in Europa, causerebbe alla produzione locale.
Il riconoscimento dello status di economia di mercato (Market Economy Status, MES) alla Cina imporrebbe di calcolare il dumping sui beni importati in riferimento ai prezzi normalmente praticati nel paese esportatore. Con l’ottenimento del MES, molti dei dazi anti-dumping contro la Cina verrebbero meno. L’abbattimento dei costi dell’acciaio derivante dall’abolizione dei dazi potrebbe dunque generare un ingente aumento delle importazioni in Italia in questo settore. Se l’industria siderurgica cinese dovesse continuare a beneficiare di sussidi pubblici, i prezzi all’esportazione mantenuti artificiosamente bassi causerebbero una competizione non concorrenziale con i produttori europei.
Per l’Italia, i presupposti di rischio sono individuati in una riduzione dei posti di lavoro nei settori più colpiti, nella delocalizzazione produttiva finalizzata all’abbattimento dei costi e ad un focus su mercati a maggior rilievo.
Fra gli importatori europei di prodotti in acciaio dalla Cina con valori significativi, figurano anche Belgio (1.167.448.703 US$ di importazioni nel settore a dicembre 2015, e un rapporto sul totale del 2,33%), Spagna (678.255.759 US$ per il 2015 e quota del 1,26% nel 2016), e Germania (187.786.317US$ per il 2015 e 0,42% per il 2016). Le preoccupazioni circa l’eliminazione dei dazi anti-dumping sulle esportazioni cinesi nel settore metallurgico non sono dunque limitate all’Italia ma all’intera Unione Europea.
Ceramica
L’Italia è solo il 26° importatore di ceramica dalla Cina, con una quota del 0,97% prevista per il 2016 (contro il 2,18% della Germania e l’1,54% della Spagna) ed un volume di importazioni pari a 241.125.681 di dollari. Al contempo, l’Italia è il quarto esportatore di prodotti in ceramica verso la Cina, con un rapporto del 9,02% al 2016 (che segue il 9,98% della Germania). Tuttavia, il volume delle esportazioni è più ridotto rispetto a quello delle importazioni.

Inoltre, sono a tutt’oggi aperte inchieste della Commissione Europea sui filtri in ceramica provenienti dalla Cina, anche se nessuna misura di protezione è stata ancora applicata; mentre è in vigore un dazio anti-dumping sulle piastrelle di ceramica. Anche in questo settore, dunque, il riconoscimento del MES potrebbe generare un incremento delle importazioni con una concorrenza sleale a danno dei produttori italiani e europei.
Calzature
L’Italia è il secondo esportatore di calzature verso la Cina (dietro al Vietnam) con una quota del 19,37% prevista alla fine del 2016 (in caduta tuttavia rispetto al 27,72% del 2014). Dopo l’Italia, solo Spagna e Portogallo hanno un rapporto sopra l’1% fra i Paesi europei (rispettivamente 2,29% e 1,31%).

La flessione dei flussi dall’Italia alla Cina e il contestuale incremento delle importazioni dal Vietnam e dall’Indonesia (rispettivamente + 40% e + 32% nel 2016 rispetto all’anno precedente) si spiegano alla luce dell’attuale rallentamento economico della Cina: l’alta qualità della manifattura italiana in questo settore ha spinto Pechino a preferire soluzioni più economiche.
L’Italia è solamente il 18° importatore di calzature dalla Cina. Tuttavia, il volume delle importazioni supera quello delle esportazioni.

La bilancia commerciale negativa è legata al basso costo delle calzature provenienti dalla Cina di poco pregevole fattura. La bassa qualità del settore cinese in questione rende tuttavia le calzature italiane difficilmente sostituibili, con la conseguenza che le esportazioni italiane potrebbero essere danneggiate in misura minore dal riconoscimento del MES alla Cina.
Carta
L’Italia è l’11° esportatore di carta e altri prodotti cartacei verso la Cina, con un mercato del 2,61% superato in Europa solo da Germania e Finlandia (rispettivamente 5,32% e 3,11%). Tuttavia, fra i tre paesi elencati solo le esportazioni italiane sono in crescita.

Anche in questo settore tuttavia il volume delle importazioni italiane, in crescita, supera quello delle esportazioni.

La Cina è destinataria di dazi anti-dumping ed anti-sussidio per le proprie esportazioni di prodotti cartacei verso l’Europa.
Biciclette
Il commercio di biciclette in Cina è monopolizzato da Taiwan, con una quota di mercato dell’88,63%.
L’Italia, pur essendo il 12° esportatore, ha un volume di esportazioni molto basso soprattutto se rapportato ad altri stati europei.

L’Italia è soltanto il 116° importatore di biciclette, con uno rapporto di solo 0.3%. Ciononostante il volume di importazioni è significativo, nonostante il calo previsto per il 2016.

Il dato è importante considerando che la Cina era stata destinataria di una misura anti-sussidio sul commercio di biciclette da parte della Commissione Europea, sanzione poi terminata nel 2013. Il passaggio della Cina al MES precluderebbe ulteriori misure anti-dumping.
Impatto sull’Occupazione in Italia
Nei settori elencati, l’abbattimento dei dazi anti-dumping verso la Cina potrebbe avere un effetto drastico sulla produzione italiana, considerato il già basso costo dei prodotti cinesi e i 97 casi di dumping per cui la Commissione Europea ha avviato indagini nei confronti della Cina. L’incremento delle importazioni dalla Cina potrebbe altresì causare una flessione qualitativa dei corrispondenti settori italiani, alla luce della minore specializzazione dell’industria manifatturiera cinese. La conseguenza potrebbe essere l’abbandono di interi poli produttivi in Italia in diretta concorrenza coi corrispondenti cinesi, in particolar modo nel campo dell’acciaio. Simili ricadute potrebbero aversi parimenti nei settori di carta, ceramica, e biciclette, alla luce delle sanzioni europee in vigore e di quelle applicate in passato. Il settore delle calzature potrebbe invece incontrare un impatto minore, data la non concorrenzialità fra i prodotti cinesi, di scarsa manifattura, e quelli italiani, di pregio, in questo campo.
Il maggiore afflusso di prodotti manifatturieri cinesi nei settori elencati metterebbe a rischio, secondo uno studio dell’Economic Policy Institute, almeno 3,5 milioni di posti di lavoro in Europa di cui 400.000 in Italia. Anche Aegis Europe, che riunisce le principali associazioni di categoria, stima fra i 2 e i 3 milioni di licenziamenti nell’industria manifatturiera europea. I dati confermano quindi le stime diffuse dai numerosi studi di settore e dalle associazioni di categoria dei produttori di acciaio, carta, vetro, bulloni e ceramica.
Reciprocità
Con l’abolizione dei dazi anti-dumping, la Cina avrebbe più facile accesso ai mercati europei. Nello stesso tempo Pechino sembra invece voler limitare l’ingresso di investitori esteri. Il catalogo ministeriale degli investimenti stranieri proibisce o limita tuttora gli investimenti in determinati settori, inoltre il pagamento dei dazi doganali rappresenta ancora una barriera all’ingresso (nel 2014, i dazi costituivano il 3,5% del totale delle entrate fiscali). Il sistema giudiziario soffre dipendenza dall’esecutivo e rischia di offrire minore tutela agli investitori esteri rispetto a quelli locali. La tutela deficitaria dei diritti di proprietà intellettuale e la censura cinese ostacolano in particolar modo l’accesso al mercato editoriale e a quello cinematografico. Il sistema finanziario centralizzato rende arduo l’ingresso delle banche straniere e il controllo del credito privilegia le società locali.
Tali carenze strutturali continueranno ad ostacolare le esportazioni dell’Europa verso la Cina nel breve periodo. Pechino ha avviato, tuttavia, importanti riforme nell’ottica di accrescere l’apertura del proprio mercato. Inoltre, è possibile che la pressione politica dei maggiori partner commerciali contrari al riconoscimento del MES (Stati Uniti, Giappone, Unione Europea) spinga la Cina ad accelerare la propria transizione verso un’economia di mercato aperta agli investitori esteri in un’ampia gamma di settori. I Paesi occidentali che premono sulla reciprocità e su problematiche quali l’insufficiente protezione dei diritti umani o l’inadeguatezza delle politiche ambientali cinesi, potrebbero far leva su questi temi per indurre la Cina ad una maggiore apertura di mercato. Allo stesso scopo, la pressione internazionale potrebbe concentrarsi su altre obbligazioni imposte dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), afferenti in particolare alla tutela della proprietà intellettuale e alla liberalizzazione del mercato dei servizi. In questi campi la Cina si presenta, tuttora, meno avanzata rispetto ad altre economie di mercato, e conseguentemente gli altri membri dell’OMC potrebbero richiedere misure sanzionatorie utili a promuovere il rispetto del principio di reciprocità. Tali misure, pur non incidendo direttamente sui flussi di merci come i dazi anti-dumping, avrebbero comunque l’effetto di incentivare la transizione cinese verso un modello economico concorrenziale. In altre parole, Pechino potrebbe proporre l’apertura del proprio mercato agli investitori esteri come strategia negoziale allo scopo di alleviare la pressione politica internazionale ed evitare le possibili contromisure dei Paesi occidentali.