Design italiano nella Cina di oggi

Il percorso del design italiano in Cina ad oggi, è stato differente rispetto a quello della nostra moda. I due mondi, che molto spesso, vengono accomunati, hanno in realtà mostrato di essere molto distanti agli occhi dei consumatori cinesi. Ma non si è trattato di una sorpresa. I due settori hanno destini che sono paralleli, con fatturati e, soprattutto, tempi differenti.

Le aziende italiane del settore, e parliamo quindi prevalentemente di arredamento e di luce, non stanno ad oggi incontrando in Cina, nonostante una presenza ormai quasi ventennale in alcuni casi, lo stesso successo, in proporzione agli investimenti fatti, ai colleghi della moda italiana.

Il tema, in realtà, è piu’ o meno simile in tutto il mondo, se pensiamo che di norma, il mercato americano rappresenta per i nostri campioni del design made in italy non piu’ del 15% del fatturato globale.

Per quanto concerne la Cina, siamo a cifre che sia aggirano intorno al 4/5%, quando va bene.

In netta ascesa le performance di Hong Kong, dove, chi ha avuto la lungimiranza di investire in un proprio punto vendita, e sono pochi (Artemide, Flos, Alessi) sta avendo dei risultati in crescita costante.

I dati ufficiali sulle nazionalità dei visitatori non sono ancora disponibili, ma pare che per quanto concerne lo scorso Salone del Mobile, a fronte di un calo dei visitatori italiani del 25% si sia assistito ad una crescita degli esteri del 17% di cui oltre il 10% rappresentato da asiatici. Tra gli incrementi maggiori, i visitatori da Hong Kong, la cui crescita interna sta rendendo insieme a Singapore, la ex colonia britannica la vera tigre del consumo di luxury goods in Asia.

Ma in Cina è differente. I famosi ormai “oltre 100 milioni di consumatori” cinesi con un potere di spesa superiore a quello medio europeo, rappresentano ormai uno zoccolo duro di compratori di “moda”, che hanno fatto propria l’idea di qualità, riconoscibilità e valore intrinseco di un marchio. La moda  è rapida come sono rapidi i consumatori cinesi:  sono le collezioni appena uscite quelle che attirano il consumatore asiatico che mai comprerebbe un falso, destinato comunque ad essere messo sul mercato qualche mese più tardi.

La moda è fruibile da tutti e subito. E, nella grande maggioranza dei casi, offre anche un immediato riconoscimento di ceto, che nella Cina attuale, rappresenta oggi la maggior preoccupazione.

Il design ha la fortuna – o forse oggi è quasi un limite – da un lato di produrre oggetti che, quando hanno successo, sono destinati a rimanere in produzione per decenni dall’altro di avere tempi di sviluppo di un progetto che non di rado si misurano in anni.

Il design viene venduto di norma a consumatori finali, nel retail, che hanno già in qualche modo soddisfatto un desiderio proiettato sulla propria persona (borse, scarpe) e che si dedicano quindi  anche ad una soddisfazione più intima che è quella della casa o che  hanno il proprio gusto mediato da un architetto, che all’interno del proprio bagaglio professionale propone oggetti ed elementi con un contenuto progettuale elevato. In Cina, il “tema casa” è ancora molto lontano dall’essere affrontato. Il valore dell’estetica riferito al proprio luogo, che solo in determinate circostanze può essere aperto agli altri, è ancora distante dall’assumere un significato per cui valga la pena spendere.

Sono gli stessi architetti cinesi a spiegarti il fenomeno, quando si giustificano quasi con i rappresentanti commerciali delle aziende italiane, a cui hanno dovuto dire che il loro prodotto è stato ritenuto “troppo caro”. Non brutto, nè di bassa qualità, solo troppo caro, rispetto ad un produzione locale di cui non riescono davvero molto spesso a percepire i limiti.

“La borsa viene vista da tutti, quando la indosso. L’investimento rende immediatamente e da i suoi frutti non appena si esce di casa, in termini di soddisfazione propria e di status. Il design funziona esattamente al contrario: sta chiuso in casa ed implica un universo di relazioni che nel mondo cinese sono ancora ferme a quelle familiari” ci dice Alfred Lau, un architetto Cinese che dopo aver studiato negli Stati Uniti ed a Milano, ha aperto con successo il proprio studio e che sta realizzando una serie di abitazioni private a Pechino.

Non è un caso che in tutta la Cina, i monomarca delle aziende italiane dei design, che sono stati aperti Shanghai e Pechino direttamente dalle aziende italiane quasi conteporaneamente circa 5 anni fa, adesso sono stati chiusi.

Le società italiane che si erano impegnate nel produrre mobile e complementi in Cina per il mercato locale, sono, anche quelle dei nostri gruppi maggiori, simbolo del nostro design, sono in fase di chiusura.

Si è assistito quindi negli ultimi 2 anni circa ad un cambio radicale della nostra penetrazione commerciale.

La distribuzione retail oggi è affidata quasi esclusivamente a partner cinesi e, contrariamente a quello che accade per la moda, probabilmente è proprio questa la chiave di apertura al mercato locale. E’ necessario oggi per promuovere il design l’intermediazione di un terzo che metta in relazione l’oggetto ed il suo valore con il consumatore finale.

E’ sicuramente una questione di tempo. Gli architetti cinesi si stanno formando adesso.
Ce ne sono davvero molto pochi che hanno un respiro internazionale. Fino a pochi anni fa, le facoltà di architettura non esistevano nemmeno.

Le cose stanno comunque di sicuro migliorando rapidamente. La spinta sta arrivando dalle stesse aziende cinesi che in teoria sarebbero concorrenti.

Mentre al grande pubblico ancora manca una consapevolezza sul prodotto, gli addetti ai lavori hanno ben compreso che da un punto di vista di progetto e molto spesso di qualità, c’e’ un divario tra aziende locali ed europee che non sarà possibile colmare e che quindi il futuro sarà fatto da grandi aziende per una fascia media ed una nicchia di aziende più piccole che creerà il design e farà da apriprista nel determinare gusti e tendenze.

Ci sono tanto nel mobile che nell’illuminazione dei colossi cinesi che stanno crescendo rapidamente e che cercano partnership distributive serie con le nostre aziende.

Nell’illuminazione, ad esempio, NVC è un azienda cinese che capitalizza alla borsa di Hong Kong oltre un miliardo di Dollari Americani, quasi come il piu’ grande produttore europeo Zumtobel, con la differenza che la NVC è stata fondata nel 2006.

Gli uomini di NVC battevano a tappeto Euroluce a Milano alla ricerca di piccole aziende italiane sconosciute in Cina, da iniziare a distribuire attraverso al propria rete. La proposta era allettante: acquisto di uno stock importante, pagato in anticipo ed un piano di sviluppo a fronte di un esclusiva di tre anni.

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