Elezioni in Giappone: la prima svolta, vittoria di Abe o sconfitta di Noda?

Tokyo: Cosa cambia in Giappone dopo il voto di ieri? Sono molti a chiederselo, anche se il risultato che ha portato nuovamente la maggioranza ai Liberal democratici di Abe alle elezioni per la camera bassa di ieri dopo tre anni di incontrastato dominio del partito democratico (DPJ) fa presagire e riflettere sulle esigenze di ascolto e di rassicurazione avanzate dall’elettorato giapponese: piano di rilancio economico immediato e concreto quale urgenza più sostenuta, posizione forte e autoritaria sul piano internazionale (contro allarmismi militari e geopolitici da Cina e Nord Corea) e riflessione ponderata sulla diminuzione del nucleare nell’approvigionamento energetico del Paese.  

L’alleanza ormai certa con il New Komeito, partito conservatore legato alla tradizione buddista vicino alla Soka Gakkai consegneranno una maggioranza di circa 300 seggi sui 480 del parlamento giapponese di nuovo in mano alla coalizione di destra, confermando per Abe il ritorno al premierato, la prima volta nella storia del Giappone del secondo dopoguerra ad un politico già premier in legislatura antecedente.

Il partito capeggiato da Shinzo Abe, di fatto già premier nel 2006 per un anno, succeduto all’era Koizumi si ritirò poi per problemi non solo di “critica istituzionale” sorta all’interno del proprio partito e dell’opinione pubblica ma anche per condizioni cagionevoli di salute. L’amminsitrazione del Paese lasciata ad un triennio di avvicendamenti politici che hanno squassato la stabilità quasi incontrastata del LPD da oltre 54 anni, è passata così nelle mani dell’opposizione nel 2009 in un clima di avvento epocale, osannato da molti come il voltapagina necessario al Paese. Il governo di Naoto Kan prima, conclusosi dopo il disastro dell 11 marzo e la conferma di Noda al governo durante l’ultimo anno termina con le votazioni anticipate di ieri. 

Noda abbandona con un discorso ufficiale la guida del partito Democratico e si prepara a passare il testimone del governo ad Abe per il 26 di dicembre, data in cui formarlmente verrà segnato il passaggio di Governo. 

L’agenda di Abe appare tutt’altro che agevolata nelle dinamiche di pianificazione politica e di riforma: la maggioranza alla Camera Alta rimane attualmente nelle mani del DPJ e la sfida maggiore per il partito Liberal Democratico inizia ora. Convincere l’elettorato al cambio di guarda totale entro luglio, quando con la scadenza del mandato triennale alla camera Alta potrebbe stabilizzarsi nuovamente il ritorno dei una doppia maggioranza su entrambe le camere. (la camera alta ha difatti il potere di veto sui disegni di legge promulgati dal Parlamento e può ostacolare con mozione di sfiducia l’operato del premier). 

Con il motto nihon totte modosu (Torniamo a riprenderci il Giappone) Abe ha presentato con un certo stupore di media e opinionisti, toni piuttosto netti e forti nel mezzo di un clima di “rumori e temporeggiamenti” come criticato da molti politologi.

Fra le azioni sottolineate del nuovo governo: un ritorno ad una politica economica legata al rilancio degli investimenti nel settore delle infrastrutture e dei finanziamenti alle imprese con un’azione diretta di monitoraggio e coordinamento forte con la Banca Centrale del Giappone, piuttosto che di sostegno alla disoccupazione e di ampliamento del welfare come voluto dal partito democratico,  un interesse sostenuto al rilancio della domanda interna in maniera netta a scongiurare il prosieguo deflazionario.

Per quanto concerne la politica estera, Abe assume toni netti nel voler mettere fine alla disputa cinese sulle isole contese, così come richiama l’importanza nel consolidare una gestione militare che non sia soltanto Self Defence Force (come già anticipato nel governo precedente e richiamo alla necessità di variazione costituzionale sull’autonomia di difesa militare), nel fare ciò però rtorna ad occupare sempre una posizione di vicina e accallorata alleanza con gli USA portando fine alle dispute sulla chiusura delle basi militari di Okinawa. In agenda l’incontro con Obama fissato per metà gennaio stabilisce un tono di confronto paritario e di concretezza di dialogo e di scambio con il LPD sembra voler iniziare il prorio governo. Abe torna anche a sottolineare l’importanza di una presa di posizione forte contro la Corea del Nord per le azioni sostenute nel lancio dell’ultime missile a lunga gettata valorizzando l’importanza per il suo partito di riproporre la questione sulla tavola ONU.

Non ultima la questione nuclerare: se il DPJ ha fatto dello stop al nucleare nel consolidare un programma energetico a impatto zero nucleare, Abe ha da sempre mostrato scettiscismo. Pur segnalando la necessità di diminuzione nell’uso del nucleare, con investimenti strutturati all’implemento delle green energies, non pone una data alla chiusura dei reattori nucleari (così come invee il DPJ urlò a gran voce dopo Fukushima fissando per il 2030 la promessa di chiusura di ogni reattore).

Questo fa luce, a sorpresa, su una parte di elettorato giapponese che pare ritrovarsi in alcuni elementi della tradizione liberista del LPD riportati in luce a gran voce in questa campagna elettorale. Sono molti però a segnalare che il successo di Abe più che una vittoria dell LPD è dovuta ad una profonda sconfitta del DPJ fortemente ostacolato all’opposizione da molti altri partiti e frazionato in moltissime polemiche sorte dalle ceneri del governo Kan.

Paolo Cacciato

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