EXPO 2010. Riflessione aperta sugli strascichi italiani. Occasione mancata?

SHANGHAI: L’Expo 2010 si è chiusa con il passaggio di consegna ufficiale dalla Cina con furore nelle mani di Letizia Moratti, commissario speciale per la prossima edizione dell’esposizione internazionale,  sullo sfondo di un cantiere targato Milano Expo 2015 che lascia ancora discutere o perlomeno risulta ai molti ancora impercettibile. L’entusiasmo che ha animato ed elettrizzato milioni di cinesi nella sola Shanghai già 5 anni prima dell’apertura dei padiglioni è quasi totalmente assente in una Italia che logorata da rallentamenti politici, produttivi, coordinativi e comunicativi non smette di lasciare perplessi quanti sul piano internazionale si confrontano quotidianamente con altre realtà e perché no con alterità che si vantano percettibilmente nel fare del proprio Paese elemento di prestigio.

Sicuramente è stata un’ EXPO testimone dell’attenzione che le aziende, le menti creative, la macchina produttiva del made in Italy hanno per la Cina, assieme al rispetto che in fondo l’imprenditoria e la creatività nostrana riservano oggi per la seconda economia più importante del pianeta, e forse la prima per potenzialità di creazione di un mercato autonomo e distinto in grado di garantire al nostro export una configurazione rinnovata e opportunità da spartire.

Affluenze record per lo spazio progettato da Giampaolo Imbrighi e più che positivi i commenti dei cinesi intervistati a fine excursus fra le monumentali creazioni poste in bellissima scena su uno sfondo dalla memoria rinascimentale e di grande rigogliosità artistica in richiamo al patrimonio culturale della nostra italianità. Quasi 8 milioni di cinesi hanno aspettato per ore e ore in coda prima di varcare la soglia del nostro padiglione, riempiendo con centinaia di scatti le memorie digitali di altrettante milioni di macchine fotografiche. Ammirazione ed entusiamo reciproche hanno sicuramente caratterizzato la relazione fra nuovi potenziali estimatori cinesi e creators italiani.

Appurato tutto ciò. è però naturale  riflettere sulla portata d’indifferenza e dilagante sofferenza istituzionale che ha accompagnato nella politica nostrana un evento talmente importante come una esposizione internazionale, su un panorama altrettanto strategico come la Cina. Non importa se da Germania, Francia per non parlare poi dei vicini Paesi asiatici è stato un continuo via vai di Ministri e funzionari oltre che di esperti tecnici in grado di coordinare tavole di riflessione e di mediazione strutturata con i nuovi pengyou cinesi. Il salvar la faccia sembra dipendere dalla visita in extremis di Napolitano che riporta su un livello di alto prestigio istituzionale lo sguardo italiano alla chiusura dell’expo.

Un’occasione mancata, ancora una volta come già troppe volte visto su scenari internazionali. Non serve essere sinologi per conoscere quanto nella sensibilità cinese il ruolo del gruppo unito a quello del capo hanno nei termini di armonia e condivisione di intenti un ruolo fondante per il riconoscimento del valore e del prestigio di un’identità da parte dei propri interlocutori. L’assenza del primo ministro Berlusconi  e di quella di cariche altrettanto importanti in termini di valorizzazione delle energie produttive italiane, basti pensare allo stesso Ministro dello sviluppo economico non passano inosservati agli occhi della dirigenza cinese. Non è da poco soppesare che in Cina il partito ha coordinato e legittimato lo sviluppo nella dimensione socialista di mercato (così come lo stesso Deng Xiao Ping avviò nella sua lunga marcia a sud già negli anni 80) e che pertanto il dialogo fra istituzioni e organi politici viene a consolidare un clima di considerazione che sicuramente non è stato centrato. 

Come dire. il successo è degli italiani, del nostro estro e della qualità produttiva, del glorioso passato che affascina per abilità e centralità storica lo sguardo cinese che scruta le conformità dell’identità europea, trovando nel nostro Paese un protagonista indiscusso stimabile. Peccato però che in Cina un figlio che non sia guidato da un buon padre, che gli sia di esempio per essere educato e avviato al riconoscimento delle regole finisca per l’essere tacciato di fannullaggine. La centralità dell’etica confuciana non smette di rivelare che in fondo di occasione mancata possiamo realmente parlare. 

 

Paolo Cacciato

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