Le malattie da stress non costituiscono certo una novità per il Paese del Sol Levante, notoriamente “ossessionato dal lavoro”, dove si registra il più alto tasso di suicidi tra i Paesi industrializzati.
Secondo i dati forniti dalla Polizia Nazionale, 32,552 persone si sono tolte la vita nel 2005, lo 0.7% in più rispetto allo scorso anno, seppure ancora al di sotto del record registrato nel 2003, 34,427 casi.
Più di 1/3 del totale sono anziani, ciononostante si è riscontrato un abbassamento dell’età rispetto al 2005, con un incremento del 5% nei ventenni e del 6,3% nei trentenni.
Oltre 2/3 rappresentano suicidi maschili, con oltre 23 mila casi, contro i 9 mila delle donne. Tra le cause più frequenti, figurano al primo posto i problemi legati alla salute, circa la metà del totale registrato nel 2005, seguiti dalle difficoltà finanziarie e familiari.
D’altronde il suicidio ha profonde radici storiche in Giappone, visto come mezzo “onorevole” per sfuggire a fallimenti nella vita. Inoltre, non ci sono divieti religiosi, in quanto da sempre l’atto del togliersi la vita nel Paese del Sol Levante è considerato un atto di estremo coraggio (come nel caso dei samurai).
I suicidi sono saliti a 30.000 nel 1998, all’epoca della depressione economica, assestandosi da allora a quel livello.
I problemi sul posto di lavoro sono stati citati come la terza maggiore causa di suicidio, ma lo stress da lavoro resta l’elemento chiave.
Le statistiche rilasciate ieri dal Ministero della Salute, rivelano che 330 giapponesi nel 2005 hanno riconosciuto di soffrire di attacchi cardiaci o problemi di cuore per il troppo lavoro, 294 in più rispetto al 2004, di cui 157 sono morti.
In aumento anche gli esami medici per verificare stati di depressione indotta da stress o altre forme di malattie mentali, il 25% in più rispetto all’anno scorso.
Il Governo giapponese sta elaborando una serie di misure per contrastare il fenomeno, quali il potenziamento delle strutture per il supporto psicologico, ricordando che “il suicidio non va considerato solo un problema individuale quanto una questione sociale”.
Ylenia Rosati