Quando si parla di cucina giapponese inevitabilmente il discorso, prima o poi, cade sui costi.
Solitamente l’opinione più diffusa è che la cucina giapponese sia carissima e questo è dovuto principalmente ai prezzi dei ristoranti che svolgono la loro attività qui in Italia e che non sono sempre alla portata di tutte le tasche. Nascono poi spontaneamente varie considerazioni: la cucina giapponese si basa su ingredienti che potremmo definire “poveri”, il pesce in fondo lo comprano qui da noi, le porzioni sono piccole se confrontate con quelle occidentali e via dicendo.
Oggettivamente sono tutte considerazioni vere.
Eppure il ristorante giapponese è nell’immaginario comune uno dei più cari in assoluto.
Un po’ di anni fa, ma neanche troppi in fondo, a Roma per esempio i ristoranti giapponesi si contavano sulle dita di una mano. E’ facile immaginare che la decisione di partire dal proprio paese per venire ad aprire un ristorante (con una cucina così particolare) nel paese considerato in tutto il mondo il regno della buona tavola, fosse una decisione che solo i più motivati, intraprendenti e soprattutto esperti professionisti potevano prendere.
Questo, va da sé, è un discorso legato alla qualità e quindi anche ai prezzi. Se da una parte c’era meno concorrenza, dall’altra era necessario offrire uno standard altissimo che presentasse al meglio la cucina giapponese al pubblico occidentale e a quello giapponese presente in Italia (come ad esempio il personale delle ambasciate, delle filiali delle grandi ditte nipponiche, ai lavoratori in trasferta e addirittura al turista giapponese nostalgico, di solito un po’ avanti con gli anni, che prima o poi sente la necessità di rifugiarsi nel la propria cultura e cucina anche all’estero!).
Qualità alta più pochi ristoranti uguale prezzi alti. Fino a qui, il discorso non faceva una piega.
Oggi però il business della cucina giapponese è stato fiutato da molti e se ci guardiamo intorno è un continuo fiorire di ristoranti giapponesi e sushi bar. Il più delle volte si tratta di ristoranti cinesi che in virtù del nuovo trend e alla faccia della vecchia rivalità e acredine con i giapponesi, decidono di convertire i propri locali in ristoranti giapponesi.
Del resto non c’è niente di male: basti ricordare che il campione del mondo dei pizzaioli è un giapponese! Che male c’è ad essere un cinese che fa cucina giapponese? Nessuno in realtà, se non fosse però che tra i molti che lo fanno, in pochi (ma ci sono) hanno studiato davvero la cucina giapponese e spesso quello che viene proposto all’ignaro cliente italiano è soltanto una pallida imitazione dell’originale. Un po’ come la cucina cinese riadattata e standardizzata per il pubblico occidentale e che tutti sappiamo che è molto differente da quella che si mangia in Cina!
L’unica cosa che non è cambiata, anche a fronte di una minore qualità e di una maggiore offerta sono i prezzi. L’etichetta “ristorante giapponese” sembra giustificare al di là della qualità qualsiasi prezzo.
Ma comunque il pubblico c’è perché in ogni caso il Giappone e la sua cucina continuano, nonostante tutto, a cavalcare mode e stagioni. E quindi ecco che ogni nuovo centro commerciale ha il suo Kaitenzushi (ossia il bancone con il rullo che trasporta piattini di sushi) e che ogni tanto un amico ci dice che proprio questa settimana è stato aperto un nuovo ristorante giapponese dietro l’angolo.
Noi personalmente evitiamo di andare a mangiare giapponese qui in Italia sia per i costi che per evitare di prenderci qualche brutta arrabbiatura. Chi ha provato a mangiare “italiano” all’estero sa di cosa stiamo parlando! Del resto basta dare un’occhiata ai menù per capire quanto giapponese si “mastichi” in un certo posto…
Il paradosso è che in Giappone il cibo come costi è molto più abbordabile di quel che si pensi. E’ vero che ci sono ristoranti iperspecializzati e di lusso come in tutte le nazioni moderne ma è vero anche che andare a mangiare fuori è molto frequente e che la qualità è sempre molto alta anche nei ristoranti più comuni e nei piccoli locali specializzati in uno o due piatti, che siano zuppe, carne o pesce.
Chiaramente il turista sprovveduto che entra a caso nel primo ristorante di un quartiere chic di Tokyo, Osaka o Nagoya, per esempio, rischia davvero di mangiare poco e pagare tanto! Però con una buona guida o con un po’ di buon senso è possibile provare diversi piatti della cucina giapponese a prezzi davvero popolari un po’ ovunque. Forse la cosa che può far davvero lievitare in conto è giusto l’alcol o le bibite in generale, ma non è nemmeno un problema insormontabile se ci si trova a corto di denaro perché in ogni locale solitamente si riceve almeno un bicchiere d’acqua ghiacciata e se c’è il distributore anche più di uno! In qualche vecchia Sobaya, i locali specializzati in Soba, come bevanda si usa la stessa acqua nella quale è stata cotta la pasta e che è molto dissetante.
Unica nota stonata rispetto ai ristoranti italiani è che nonostante l’ottimo e impeccabile servizio sempre e comunque, generalmente in Giappone la comunicazione tra i camerieri e la cucina sembra non essere contemplata. Se provate a chiedere un’informazione o una variante nella pietanza che esuli dagli standard del locale, vedrete entrare in crisi tutto un sistema! Così come non esiste che il cameriere vi consigli un piatto piuttosto che un altro (magari in accordo con il cuoco per “spingere” qualche provvista di troppo) allo stesso modo non sono contemplate le modifiche alle ricette, dando l’impressione di comunicare più con un distributore automatico che con un essere umano in carne e ossa…ma d’altro canto è un prezzo che si paga volentieri a fronte di un ottimo livello del servizio per tutti gli altri aspetti.
Per quanto riguarda la ricetta della settimana, questa volta Yumie vi propone carne di maiale, pancetta al naturale per la precisione, lessata, cucinata con spezie e servita in morbidi cubetti, da cui il nome Kakuni, appunto cubi (kaku) lessati (ni).
Kakuni
Ingredienti per 5-6 persone
1 kg di pancetta di maiale al naturale e in un unico pezzo
1 porro
30 gr circa di radice di zenzero
1 peperoncino grande intero
80 ml di salsa di soia Shoyu
4 cucchiai di zucchero
600 ml di sake di riso per cucinare
600 ml di acqua
2 cucchiai di mirin
+
350 gr di riso bianco giapponese
Preparazione
Preparare il riso come indicato nei precedenti articoli “Onigiri” e “Shiro Gohan”. L’acqua del riso non va buttata ma messa in una pentola grande dove successivamente verrà lessata la carne.
Tagliare in fettine la radice di zenzero con tutta la pelle.
Prendere il porro, tagliare le due estremità e prendere la parte più interna spingendo fuori come fosse un tubo gli strati più compatti e attaccati tra loro escludendo quindi quelli più esterni e leggeri. Tagliare quindi la parte interna in pezzi di quattro-cinque centimetri di lunghezza.
Questa operazione ha lo scopo di selezionare la parte con il sapore più forte e al tempo stesso eliminare quella che oltre ad essere meno saporita è anche più leggera e durante la cottura si andrebbe poi ad attaccare alla carne.
Stesso discorso anche per lo zenzero che come il porro ha lo scopo principale di mitigare il sapore e l’odore della carne di maiale.
Lo zenzero, il porro e infine un peperoncino grande intero (o due piccoli!) verranno messi tutti insieme nell’acqua del riso che abbiamo già messo nella pentola grande.
Mettere la pancetta in un unico pezzo nella stessa pentola insieme all’acqua e ai vegetali. E’ importantissimo che l’acqua sia in altezza almeno il doppio dell’altezza del pezzo di carne. Se l’acqua del riso fosse insufficiente aggiungere quindi acqua normale.
Preparare un foglio di alluminio della grandezza esatta della pentola e praticare con la punta del coltello 5-6 fessure.
Accendere il fuoco e far bollire l’acqua nella pentola.
Appena l’acqua inizia a bollire, abbassare leggermente il fuoco e porre il foglio di alluminio all’interno della pentola a coprire il tutto. Il foglio serve a mantenere il vapore e quindi il livello dell’acqua durante la bollitura e a non far salire in superficie successivamente la carne. La cottura in questo modo deve durare minimo due ore.
Controllare di tanto in tanto il livello dell’acqua ed aggiungerne eventualmente dell’altra se necessario.
Dopo due ore, spegnere il fuoco e lasciar riposare fino a che la temperatura permetta di poter toccare a mani nude la carne. Togliere la care dalla pentola e buttare il resto del contenuto.
Lavare la carne con l’acqua calda o comunque tiepida e rimuovere con le mani dalla superficie gli eventuali strati o pezzi di pelle che si sono staccati o alzati durante la bollitura.
Tagliare la carne in senso verticale in cubi di circa tre centimetri per lato. Non tagliare nel senso delle venature del grasso! Ogni pezzo visto di lato dovrà avere le tipiche venature alternate della pancetta.
In una pentola più piccola, della capienza di circa un litro di acqua più la carne, versare 600 ml di acqua e altrettanti di sake per cucinare. Aggiungere inoltre la carne già tagliata. Anche questa volta porre sulla superficie un foglio di alluminio bucato (come spiegato in precedenza) e cuocere per minimo un’ora a fuoco basso.
Aggiungere due cucchiai di zucchero e metà della salsa di soia Shoyu e cuocere ancora per mezz’ora. Dopo questa mezz’ora, assaggiare l’acqua e secondo il proprio gradimento aggiungere ancora lo zucchero o la shoyu rimaste, tutte o in parte. Cuocere ancora per mezz’ora.
Aggiungere i due cucchiai di Mirin e cuocere ancora per circa cinque minuti e poi spegnere il fuoco.
Tutti i liquidi dovrebbero essersi ridotti ad un’unica salsa sul fondo.
A questo punto le scelte sono due:
Si può mangiare la carne da sola e quindi si può servire come piatto a sé (come nelle foto), magari accompagnata da una goccia di senape o della sua “variante” giapponese Karashi.
Oppure utilizzare il riso che abbiamo preparato all’inizio e del quale fino ad ora abbiamo usato soltanto l’acqua, mettendo il riso in una ciotola e sopra la carne coperta con qualche striscia ritagliata da un foglio di alga Nori.
Alla prossima!
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