Jia Qinglin, presidente del Comitato nazionale della Chinese People’s Political Consultative Conference (CPPCC), ha inaugurato la cerimonia di apertura del 18° summit dell’Unione africana ad Addis Abeba il 29 gennaio 2012 con un discorso sulla cooperazione Cina-Africa. Il vertice dei paesi africani e’ stato organizzato nel nuovo Centro Congressi AU realizzato con la sponsorizzazione cinese. Jia ha dichiarato, "la Cina considera e sviluppa le sue relazioni con l’Africa in una prospettiva strategica e di lungo periodo. Lavoreremo con impegno e determinazione insieme ai paesi africani per portare l’alleanza Cina-Africa ad un livello superiore."
La Cina è commercialmente attiva nel continente africano dal 1950. L’alleanza è stata ufficialmente sancita solo nel 2000, con la nascita del Forum per la cooperazione Cina-Africa (FOCAC). Dalla metà del decennio scorso gli scambi si sono intensificati in maniera notevole, mettendo per la prima volta in allerta il mondo occidentale: nonostante la propaganda solidaristica portata avanti da Pechino, la penetrazione cinese in Africa è all’insegna delle opportunità commerciali e di profitto che la Repubblica Popolare riesce a ricavare dallo sfruttamento delle materie prime e dal riversamento dei suoi prodotti all’interno del mercato africano. In cambio la Cina fornisce finanziamenti agevolati o costruisce infrastrutture pubbliche, economiche o sociali. Il giro d’affari è passato da $ 12 milioni nel 1950, agli attuali $ 120 miliardi, tanto da rendere la Cina il primo partner commerciale del gigante in via di sviluppo. Gli unici paesi estranei alla sfera d’influenza cinese sono quelli che intrecciano relazioni con Taiwan: Burkina Faso, Swaziland, Gambia, Sao Tomè e Principe, un numero comunque non significativo rispetto al totale di cinquantaquattro stati.
Il continente africano è un immenso bacino di metalli e pietre preziose, tra cui rame, nickel, platino, oro e diamanti – e di risorse energetiche e naturali, quali petrolio, uranio, acqua e legname. La Repubblica Popolare ha bisogno di carburante ed energia per alimentare il suo incessante progresso economico, e di diversificare la propria strategia di investimento. Il recente clima d’incertezza globale, che fa presagire una nuova recessione, ha travolto le economie sviluppate, tra cui quella statunitense. Il relativo deprezzamento del dollaro crea la necessità per la Cina, primo investitore straniero del debito americano, di impiegare le riserve di valuta estera in asset affidabili. Le miniere e i cantieri africani servono, dunque, anche a tale scopo.
La Cina registra un deficit commerciale nei confronti dell’Africa. Eppure, l’invasione di prodotti di consumo, automobili e altri macchinari “made in China” è alquanto evidente, e spesso non è priva di conseguenze negative. In Senegal, per esempio, i settori produttivi locali sono entrati in crisi a causa degli ultra-economici beni di consumo cinesi, sollevando l’avversione della popolazione.
La presenza sul territorio è pervasiva e capillare: dai paesi del Maghreb fino al Sud Africa, le attività cinesi si concentrano nel settore estrattivo, in particolare nello sfruttamento di giacimenti petroliferi, e nell’edilizia. In alcune aree dell’Africa Orientale è inoltre praticata la vendita di armi e tecnologia militare. Se la focalizzazione sull’estrazione di metalli e fonti energetiche, permette alla Cina di variare il proprio portafoglio di attività, vi sono risvolti opposti dal punto di vista dei paesi africani. Infatti tale approccio, a lungo termine, soffoca la possibile sperimentazione di altri settori economici e il loro sviluppo, rendendo l’economia africana eccessivamente dipendente da un solo tipo di business.
L’influenza è estesa anche su stati che non possiedono risorse d’interesse, un esempio è il Malawi, che dal 2008 ha interrotto i rapporti con Taiwan. In questo caso, i cinesi sono intervenuti nella costruzione di edifici moderni e lussuosi, prima che nella fornitura di servizi indispensabili: la relazione commerciale si svolge in maniera incoerente con i bisogni effettivi del paese stesso e della sua popolazione, e anche con gli obiettivi economici della Cina. Questo fa presuppore che dietro l’espansione cinese vi sia anche un intento politico di stampo imperialista, mirante a ostentare e rafforzare il ruolo dell’Impero di Mezzo come potenza mondiale.
I benefici della partnership economica sono spesso percepiti principalmente dai leader politici piuttosto che dalla gente comune. Nel caso del Malawi, la recente limitazione di alcune libertà già riconosciute, come la libertà di stampa, ha innescato l’ opposizione da parte dei paesi occidentali ma nessun cenno di sdegno o richiamo da parte di Pechino. La Cina adotta una politica estera lassista: non interviene in caso di violazione di diritti civili o quando le condizioni di trasparenza del sistema sono precarie. Temendo interferenze esterne nel proprio sistema, è la prima a non metterle in atto.
Il modello di sviluppo cinese e l’atteggiamento “indulgente”, costituiscono fattori particolarmente attrattivi per i regimi dittatoriali africani, che guardano al paese asiatico come un valido alleato commerciale e diplomatico, a cui ispirarsi e da cui prendere esempio.
Nonostante la collaborazione produca talvolta risultati non del tutto benefici, sarebbe ingiusto non rilevare il contributo cinese nell’attuale dotazione africana d’infrastrutture.
Dagli anni ’70 Pechino ha partecipato all’esecuzione di progetti quali la linea ferroviaria tra Zambia e Tanzania e l’International Conference Center de Il Cairo. Recentemente il governo ha approvato prestiti a tassi di favore per un ammontare di $ 10 miliardi, che saranno destinati all’edificazione di aeroporti, strutture abitative e impianti idrici. Generalmente, i progetti sono eseguiti da societa’ cinesi, con manodopera cinese, e prevedono contratti per l’utilizzo di risorse minerarie ed energetiche. I finanziamenti sono spesso rimborsati tramite la fornitura di petrolio. L’alleggerimento del debito di 35 paesi africani per un totale di RMB 19 miliardi è un ulteriore considerevole aiuto messo in atto dal governo cinese.
Un elemento fondamentale che contraddistingue la cooperazione cinese in Africa da altri tipi di aiuti internazionali è la sua propensione a “fare” piuttosto che a “istruire”. I paesi occidentali in Africa si occupano di formare e indirizzare i governi africani verso la democrazia e uno sviluppo civilizzato, ma con risultati meno tangibili di quanto la Cina ha fatto negli ultimi anni. Il legame tra Cina e Africa è consolidato dalla concretezza e determinazione cinese nel portare avanti i progetti incondizionatamente. Questa è la chiave di lettura per comprendere la conquista politica ed economica della Cina sull’Africa, e allo stesso tempo, la ragione dell’evanescenza del peso occidentale sul continente nero, e a livello globale.
Lorenzo Riccardi – Dottore commercialista, Shanghai
lr@rsa-tax.com – RsA Asia