Mercato delle Quotazioni in Cina, la nuova sfida per le imprese europee

La quotazione sui mercati Cinesi da parte di gruppi europei, e’ sempre di più un tema di conversazione tra gli addetti ai lavori, soprattutto negli ultimi mesi, con l’annuncio da parte della Cina dell’apertura della borsa di Shanghai alle societa’ straniere e con l’aumentare dell’interesse per quotazioni di aziende non asiatiche ad Hong Kong. Tuttavia, da un punto di vista pratico, si e’ visto poco. Il motivo non è la mancanza di interesse da parte di potenziali investitori. Le ragioni sono altre.

Per quanto riguarda Shanghai, la Borsa e’ tuttora chiusa alle aziende non cinesi.

Se da un lato è vero che le autorita’ locali hanno fatto dichiarazioni in cui si manifestava l’intenzioni di una future apertura alle aziende straniere, ed il concetto è stato ribadito in incontri internazionali, è altrettanto vero che non è seguita alcuna effettiva riforma in tale direzione.

Gli stessi cinesi hanno confermato che si tratta di un progetto in fase di studio e che la bozza del regolamento di quotazione ancora è in fase di definizione. Le regole attuali sono infatti totalmente inadeguate per poter fare ipotesi di lavoro su progetti reali.

Come spesso accade in Cina, le riforme sono decise con anni di anticipo e gradualmente vengono rese pubbliche, anche per analizzare le reazioni ed apportare eventuali correttivi. Ad esempio, sono serviti quasi dieci anni, a partire dai primi annunci di fine anni ’90, per vedere effettivamente operative la grande riforme che hanno aperto agli stranieri il controllo e la gestione diretta di punti vendita retail.

I tempi, per quanto concerne l’ammissione delle aziende straniere, non saranno probabilmente così lunghi.

In Cina, se le riforme vengono annunciate, si fanno. Quindi e’ certo che prima o poi l’apertura avverrà. Fonti locali prevedono non meno di 24 mesi, e con grandi limitazioni iniziali. Si partirà da gruppi con grande capitalizzazione, già presenti in Cina, sul livello di HSBC o Standard Chartered.

Le banche, gia’ quotate ad Hong Kong o a New York, che stanno investendo pesantemente in Cina, i gruppi assicurativi ed i gruppi minerari – da cui la Cina dipende sempre di piu’ – saranno quindi i primi che potranno fare da apripista ad una quotazione a Shanghai, forse già a partire dal 2012.

Si è letto anche di aziende italiane che hanno annunciato piani di quotazione a Shanghai. L’idea è esotica e puo’ avere anche un grande fascino, ma è destinata a rimanere sulla carta ancora per un pò. Ed in ogni caso, considerate la taglia delle nostre aziende, conviene attendere e vedere prima i risultati degli altri. Per essere sperimentatori in Cina occorre essere grandi, forti e molto supportati, anche dal proprio paese oppure bisogna essere le Generali, che sono considerate proprio dagli stessi cinesi un esempio da seguire per lo sviluppo ed i risultati ottenuti in Cina da un gruppo straniero

La Borsa di Shanghai e’ diventata, dalla sua apertura nel 1990, la settima al mondo per capitalizzazione (2,6 trillioni di USD) con 861 societa’ quotate. Ma ha anche dimostrato una serie di lacune regolamentari e di controllo che hanno reso Shanghai una piazza difficile per gli stranieri che, ad oggi, possono operare come investitori solo sulle cd. azioni B denominate in dollari americani e, con alcune limitazioni, sulle azioni A riservate agli investitori domestici.

Sono 98 le istituzioni finanziarie non cinesi autorizzate ad operare direttamente sulla borsa di Shanghai. Ma, di fatto, l’attività degli investitori stranieri – soprattutto occidentali – rimane piuttosto limitata.

In realtà, l’annunciata riforma non va letta come una apertura del mercato domestico agli stranieri che vogliono raccogliere capitali in Cina. Questa è una conseguenza.

La Cina intende portare la Borsa di Shanghai verso standard internazionali per far sì che le prossime quotazioni dei nuovi “campioni nazionali” non emigrino verso l’occidente. E per raggiungere l’obbiettivo deve necessariamente rendere Shanghai piu’ internazionale, con piu’ aziende ed investitori stranieri che ne seguano e ne condividano le sorti.

Allo stesso tempo, viene lanciato anche un altro tipo di messaggio. Le autorità locali stanno dando anche un segnale ai gruppi cinesi che si sono quotati in piazze occidentali facendogli capire che – più prima che poi – sarà il caso di riportare a casa le aziende, organizzandosi magari con un dual listing su Shanghai.

La Cina è un paese con investitori locali affamati, a cui non viene data la possibilità di investire all’estero (per un cittadino cinese è praticamente impossibile acquistare azioni sulle borse straniere, inclusa Hong Kong). E la non converitibilità del reminbi, che non è nei piani immediati, rende il quadro ancor piu’ complesso.

La borsa di Shanghai è la settima nel mondo e per scalare rapidamente posizioni e dar sfogo alle istanze di un popolo di investitori compulsivi ha bisogno di non farsi scappare le proprie aziende, prima di tutto.

E se per fare questo è necessario far raccogliere capitali cinesi (che poi saranno comunque reinvestiti in Cina) agli stranieri allora sarà valsa la pensa di rimettere mano ai regolamenti e lavorare su aspetti quali la governace ed i conflitti di interesse.

In ogni caso, se continua di questo passo, riforme o meno, si stima che Shanghai sarà comunque la seconda borsa mondiale per capitalizzazione dopo New York nel giro di 5 anni.

Ma una lettura sugli sviluppi della borsa in Cina (che oltre a Shanghai è presente a Shenzhen, piu’ ridotta e con una vocazione tecnologica) non puo’ prescindere da una analisi dei piani di sviluppo della borsa di Hong Kong.

Come noto, Hong Kong dal 1997 è ritornata territorio cinese. L’isola è governata da Pechino ma, in forza del trattato con il Regno Unito, continuerà ad essere amministrata da leggi inglesi ed a battere la propria moneta (il dollaro di Hong Kong, legato al dollaro americano) perlomeno per altri 40 anni.

La Cina, quindi ha tutto l’interesse a gestire la Borsa di Shanghai e quella di Hong Kong in modo sinergico e non concorrenziale.

L’idea è quindi quella di rendere Shanghai la piazza finanziaria dedicata alle aziende cinesi e straniere con piani di sviluppo nel mercato domestico e, contempraneamente, ampliare le attività ad Hong Kong consolidandone il ruolo di hub per raccogliere capitali, da qualunque parte del modo e per qualunque destinazione.

Per i due mercati sono quindi previste funzioni differenti e l’obbiettivo è quello di evitare competizioni e di difendersi da Singapore, che – ancora in misura limitata – aspira a svolgere lo stesso ruolo di Hong Kong.

Hong Kong, sebbene – con 1356 societa’ ed una capitalizzazione di oltre 2,7 trillioni di USD – sia la seconda borsa asiatica dopo Tokyo, contrariamente a quanto si possa credere, è quanto mai domestica.

Il mercato e’ costituito per circa la metà da investitori istituzionali locali, il 25% sono investitori retail di Hong Kong e gli investitori identificati come “retail stranieri” sono intorno al 5% ed in realtà, anche loro, sono molto spesso cinesi che vivono dall’altra parte del Pacifico.

Gli investitori internazionali rappresentano circa il 30% delle attivita’ di trading, ma di questi oltre la metà sono asiatici (Giappone, Corea, Singapore).

Le aziende quotate non Cinesi o asiatiche sono poche. Meno di 10.

Alla fine di Novembre c’erano 72 società locali in attesa dell’autorizzazione per la quotazione.

Da questo punto di vista, Hong Kong negli ultimi tempi è stata un po’ vittima del proprio successo.

Oggi c’e’ un po’ di timore tra gli analisti che le numerose IPO, circa 130, dello scorso anno abbiano un po’ saziato la fame degli investitori.

Ed il sentiment locale verso aziende straniere, con case madri lontane, management sconosciuto, è ancora tutto da testare.

Sono solo 15 le giurisdizioni di incorporazione considerate accettabili per essere ammessi alla quotazione. Per l’Europa c’è l’Inghilterra, la Germania, Jersey, Isle of Man ed il Lussemburgo.

Ad oggi, le uniche aziende europee quotate sono il gruppo francese L’Occitaine, per il tramite della holding lussemburghese e la tedesca Schraam Holding.

Per il Regno Unito, se si possono considerare Europee, è presente HSBC, Standard Chartered e Prudential. Per gli Stati Uniti, solo le aziende incorporate nello Stato della California possono quotarsi ad Hong Kong, ma ad oggi non sono state ricevute richieste.

Questo per dire che, sebbene ci sia interesse generale in una quotazione ad Hong Kong, di fatto, la piazza asiatica deve ancora fare molta strada per essere una borsa davvero internazionale. Le altre aziende che da un punto di vista formale possono considerarsi straniere sono di fatto gruppi di derivazione interamente cinese con attività in larga parte in Cina, e quindi ben note localmente.

Il 24 gennaio l’Italia è stata inclusa tra le giurisdizioni “accettate”.

E’ interessante tale dato anche alla luce della decisione dei giorni scorsi di Prada di volersi quotare ad Hong Kong. Difficile fare dei commenti. Di certo, le valutazioni della Borsa di Hong Kong hanno avuto negli ultimi 2 anni dei multipli che da altre parti non si vedono dai tempi delle .com companies, E quindi, da quel punto di vista, è comprensibile la decisione.

Dispiace che un gruppo con delle radici italiane così profonde, debba essere valutato solo in dollari di Hong Kong e con il paradosso, per gli investitori italiani, di essere esposti al rischio cambio per acquistare azioni di una azienda italiana.

Forse – consci anche del momento di debolezza del nostro mercato – dovremo prendere esempio dai cinesi a Shanghai e creare dei canali preferenziali con l’obbiettivo di dare contemporaneamente ad una società la possibilità di battere bandiera italiana pur cercando le risorse dove piu’ sono disponibili, con dei regolamenti ad hoc, che semplifichino le procedure di dual listing.

Se Prada davvero si quoterà ad Hong Kong, e se la quotazione come ci auspichiamo avrà successo, sarà comunque la prima di una serie e dovremo comunque abituarci a comprare azioni in dollari di Hong Kong, ad aver a che fare con la pausa pranzo più lunga tra le borse mondiali (due ore); ed alla sospensione delle contrattazioni quando il segnale di arrivo del tifone viene lanciato. Per fortuna, succede solo un paio di volte l’anno.

 

Federico Palazzari

 

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