Nanking al cinema, ed è subito polemica fra commozione cinese e critica giapponese.5 Luglio 2007
POLEMICA AL CINEMA: NANKING
Spulciando i siti internet dedicati a Bill Guttentag, l’aggettivo che più comunemente ricorre per definire le sue opere è “warming”, inteso come commuovente, toccante. Infatti, già nel 2003 il regista — che ha iniziato la propria carriera dirigendo materiale aggiuntivo per “Hot Shots” e l’ha continuata con qualche sporadico episodio di “Law & Order”, pluripremiato telefilm della NBC — ha commosso e straziato tutti gli Stati Uniti con il documentario “Twin Towers”, vincitore dell’Oscar. In meno di quaranta minuti, il cortometraggio rileggeva la tragedia dell’11 settembre attraverso le vicende — molto strappalacrime, e anche piuttosto retoriche — di due fratelli, poliziotto e pompiere, divenuti eroi nazionali.
Oggi, a quattro anni di distanza, Bill Guttentag torna a far parlare di sé con “Nanking”, film tutto hollywoodiano che rievoca la tragedia di Nanchino, sottoposta all’invasione giapponese del 1937. A molte scene di repertorio ed interviste si mescola la narrazione romanzata delle vicende degli occidentali — professori, uomini d’affari e missionari — che formaro la “Nanking Safety Zone”, per proteggere i civili dalle brutalità dell’esercito giapponese.
Il produttore Ted Leonsis ha affermato, in un’intervista all’Hollywood Reporter: “[For Chinese people] I believe this will be like the Passion of Christ”. In effetti, a giudicare dalle reazioni degli spettatori alla prima cinese, tenutasi ieri a Pechino (dal 7 luglio in tutta la nazione, data tutt’altro casuale poiché rappresenta il settantesimo anniversario dell’invasione nipponica durante la Seconda Guerra Mondiale), lo scopo è stato pienamente raggiunto: molte persone in lacrime, code immense per gli spettacoli, partecipazione vibrante di una nazione intera — dopo aver fatto piangere tutta l’America, Guttentag ha commosso l’intera Cina.
Tiepide — tutt’altro che “warming” — le reazioni di molti critici, che hanno trovato deboli molte delle interpretazioni fornite da occidentali (una su tutte quella di Woody Harrelson), nonostante sia unanime l’opinione che le scene d’archivio siano a volte quasi insostenibili, per impatto emotivo e violenza fisica. In America il film si è aggiudicato, al Sundance Film Festival, il premio per il miglior montaggio e ha ricevuto lunghissime ovazioni: da più parti si è infatti sottolineato che, trattandosi di un’opera a metà fra la fiction, il docudramma e il documentario, l’esile prova attoriale e la diegesi retorica siano difetti da nulla in confronto alla portata sociale, storica e politica del film, nonché alla sua forza e alla sua capacità di scuotere animi e coscienze.
È inevitabile che un film che si ponga obiettivi così ampi, e che tenti una rilettura critica della Storia (anche se ancora così recente, ancora così bruciante), vada incontro — oltre che ovazioni e applausi — a vespai di polemiche: mentre gli spettatori di Pechino piangevano commossi e partecipi, in Giappone il documentarista Satoru Mizushima — che ha definito “Nanking” opera di mera propaganda politica, arrivando ad accusare i produttori e i registi di falsificazione storica — ha fatto sapere di voler girare un contro-documentaria, “The Truth about Nanjing”, dove verrà chiaramente dimostrato che, anche all’epoca, il massacro di Nanchino fu montato in modo iperbolico e strumentalizzato come propaganda anti-nipponica.
Inevitabile — e, ancora una volta, un po’ retorica — la risposta del produttore Leonsis, che sottolinea come “Nanking” non voglia essere un film contro il Giappone, ma un film contro la guerra, non diversamente da quanto aveva affermato Spielberg per il suo “Munich”, pesantemente attaccato sia da Israele sia dalla Palestina. Risposta retorica, poiché il film prende chiaramente una posizione e non ha paura di esprimere giudizi e addossare colpe, nonostante si focalizzi appunto soprattutto sugli occidentali e sulla “Nanking Safety Zone”.
Quel che per ora è certo, in attesa delle reazioni anche degli spettatori giapponesi, è che — se da un lato il film riapre una questione annosa e mai risolta, attizzando contese mal sopite e ferite ancora doloranti — a “Nanking” va senza dubbio riconosciuto il merito di aver riportato all’attenzione mondiale una tragedia, al di là dei particolarismi geografici e politici, umana. Troppo umana.
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Andrea Morstabilini